Maestri della pittura del Seicento emiliano

Michela Scolaro in: L'arte. Un universo di relazioni. Le mostre di Bologna 1950-2001, a cura di Andrea Emiliani e Michela Scolaro, Bologna, Rolo Banca 1473, 2002
1 Settembre - 31 ottobre 1956

Dopo le esposizioni di Guido Reni, nel 1954, e dei Carracci due anni dopo, una mostra destinata a tracciare una serie molteplice di itinerari possibili e, anzi, probabili direttamente sul corpo vivo della città e delle campagne dell’Emilia e della Romagna veniva a rispondere a un’esigenza che da tempo era entrata nei desideri di molti tra studiosi, già impegnati nella ricchezza indiscutibile del secolo barocco con analisi e studi, come spesso con ricerche di tesi universitarie talora di vero prestigio conoscitivo.

Il modello itinerario e periegetico, che si rifaceva direttamente alla Kunstliteratur artistica settecentesca, così precisa e fluente nelle nostre province, veniva direttamente dall’esempio di Roberto Longhi. Messo a punto e, per così dire, ulteriormente riscaldato ed euforizzato fu poi quello di Francesco Arcangeli, per quantità di scoperte, di verifiche possibili, di chiarimenti e, infine, di esplicite e ripetute identificazioni.

Rileggere le lettere scambiate tra lui e Alberto Graziani, negli anni 1938-1940, vuol dire ripercorrere, insieme alle brevi stagioni della giovinezza, i paesaggi di queste campagne quiete, percorse da strade bianche e abitate da chiese parrocchiali aperte sull’afa dell’estate. Improvvisi, sulla collina, affrontata inevitabilmente in bicicletta, i borghi più ricchi, le chiese fitte di dipinti interessanti, interrogativi e, spesso, rilevati da una conoscenza che ritornava a vivere con disegni e appunti, come nelle mani di Cavalcaselle.

Il disegno generale della mostra del 1959 fu, dunque, principalmente costruito da Arcangeli, possessore di un affetto odeporico particolare. Ma anche Gnudi poteva vantare un’energia pedatoria inestinguibile e amava entrare ovunque fosse possibile e incominciare a pensare, già in quegli anni lontani, alla necessità di fondare una più generale conoscenza figurativa, mettendo mano al lavoro nel catalogo dei beni artistici dello Stato, affrontato un poco nell’anteguerra e presto abbandonato. Un capacissimo, caparbio conoscitore si rivelava in quegli anni stessi Carlo Volpe, assistente all’Università e redattore di “Paragone”.

Furono così fondate, come archivi iniziali della conoscenza a venire, le biografie degli artisti stampate in quel catalogo ben abbozzato e dotato di una bibliografia ancora oggi invidiabile. Erano quelle dei maestri delle scuole e delle botteghe delle città grandi e minori, dei centri e delle periferie, delle chiese e delle concentrazioni di comunità conventuali, degli oratori e dei santuari.

Dopo le grandi esperienze basilari (Carracci, Reni, Albani e Domenichino), la conoscenza prendeva definitivamente corpo proprio sui sentieri attraenti del “grande stile” decoroso della scuola di Ludovico Carracci, come Cavedone, Massari, Garbieri, Tiarini, Brizio e, poco più in là, gli “irregolari” come Facini, Castelli e lo stesso Mastelletta. Fondamentale fu il lavoro condotto sul rapporto fra centro e periferia, l’indice spostato dalle capitali come Parma e Piacenza, Modena e Reggio, Ferrara e poi Bologna e, infine, le otto sorelle romagnole, da Imola e Rimini. La mostra, in tal modo, insegnò il metodo dei flussi e delle concentrazioni e, dunque, delle vie di comunicazione e delle chiese attestate sulla via Emilia come sui rilievi appenninici, tensioni di ripetuti centri storici e, a settentrione, addensamento di corti di famose e potenti signorìe. Nuove e diverse forze di creatività, di protagonismo e di confronto con Roma o con Venezia.

Ebbero spazio nell’esposizione alcune decine di artisti, espressi da una filiera di venti e più centri abitati, con un numero adeguato di dipinti, spesso di grande formato (la pala d’altare resta centrale nel mondo emiliano), restauri esemplari e grande chiarezza di tracciati biografici, di collezioni e di concentrazione di opere a fresco. Una mostra di dilatati confini che servì di modello per molte ricerche scientifiche, per analisi serie del territorio e della stessa urbanistica storica e che mise in movimento piani di catalogazione e programmi di restauro; una mostra che sarebbe opportuno e necessario dedicare a ogni provincia italiana.

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